lunedì 8 giugno 2020

PSICOLOGIA

IL COMPORTAMENTO MALVAGIO SECONDO MILIGRAM 


Nel 1970 un team di ricercatori diretto dal professor Philip Zimbardo della Stanford University realizzò un esperimento per studiare i comportamenti sociali. Zimbardo, per realizzare l’esperimento, si ispirò alla teoria di Gustave Le Bon sul comportamento sociale, detta deindividualizzazione, secondo la quale gli individui di un gruppo coeso, formando una folla, tendono a perdere la propria identità, la propria consapevolezza e il proprio senso di responsabilità, attuando meccanismi di anti socialità.
Zimbardo voleva scoprire se molte brutalità commesse dall’uomo fossero frutto dell’individuo o della situazione. Decise di indagare questo processo attraverso la realizzazione di un esperimento, dove fu riprodotto in modo fedele un ambiente in cui era possibile osservare al meglio i comportamenti individuali: il carcere.

L'esperimento

Gli sperimentatori selezionarono solo 24 soggetti maschi, retribuiti con 15 dollari al giorno, equilibrati e attratti il meno possibile da comportamenti sadici.
Furono assegnati casualmente al gruppo dei detenuti o a quello delle guardie. I prigionieri vennero fin da subito trattati come dei reali criminali, poiché furono arrestati nelle loro case, senza preavviso e portati alla stazione di polizia locale, dove furono prese le impronte digitali, fotografati e inseriti in un fascicolo. I prigionieri furono obbligati a indossare divise. Le guardie, invece, indossavano uniformi, un fischietto al collo, un distintivo ecc...
In breve tempo coloro che svolgevano il ruolo di guardie iniziarono ad adottare comportamenti aggressivi e brutali.  Anche i prigionieri assunsero il comportamento tipico del detenuto parlando esclusivamente di questioni carcerarie per gran parte del tempo.
In pochi giorni si ebbero forti ripercussioni psicologiche sui partecipanti, poiché in quella situazione carceraria le finte guardie divennero sadiche e maltrattanti e i finti prigionieri mostrarono evidenti segnali di stress e depressione. 

Zimbardo dimostrò così il processo di deindivisualizzazione, mostrando come l’individuo diventi semplice pedina all’interno di un gruppo o una folla, assumendo spesso comportamenti violenti e autoritari.

PSICOLOGIA

L'ESPERIMENTO DI MILIGRAM

Nel 1961 Stanley Milgram lavora alla Yale University e i suoi studi si focalizzano sul tema dell’obbedienza. Nella società in cui vive sembra essere indispensabile la presenza di un’autorità, dalla quale può sottrarsi solo chi vive in totale isolamento. La riflessione di Milgram parte dalla diffusione dell’ideologia nazista: nel 1933 sono stati uccisi 45 milioni di persone, per volontà di un solo uomo, i cui ordini venivano eseguiti in larga scala. 
L’obbedienza viene definita in questi anni come il meccanismo psicologico che collega l’azione individuale a uno scopo politico. La storia recente suggerisce che l’obbedienza può indurre le persone a mettere in atto determinati comportamenti, al di là delle convinzioni etiche, di sentimenti di vicinanza al prossimo o della condotta morale.

L'esperimento:

Vengono reclutati 40 uomini, dai 20 ai 50 anni, convinti di partecipare a uno studio su memoria e apprendimento, volto a indagare il ruolo della punizione. Una persona fingerà di essere l’insegnante e l’altro lo studente, che riceverà le sanzioni previste. Lo sperimentatore viene interpretato da un 31enne professore di biologia, mentre la vittima è un uomo di 47 anni, contabile, addestrato alla parte.
Ai 40 partecipanti viene detto che la sorte deciderà chi dovrà subire le punizioni: si trovano quindi ad uno ad uno in coppia con il complice contabile, che finge di essere un partecipante alla sperimentazione. Estraggono entrambi un bigliettino da un cappello, e tutti si ritrovano a fare la parte dell’insegnante, mentre il complice estrae sempre il ruolo della vittima. In entrambi i bigliettini era scritto “insegnante”.
In una stanza attigua, il contabile viene fatto posizionare su una finta sedia elettrica, legato al fine di evitare movimenti improvvisi durante le scosse. Infine, vengono posizionati gli elettrodi.
Analizzando la distribuzione degli atti di disobbedienza, Milgram nota che 5 soggetti si fermano al momento di dare una scossa di 300 volt, ovvero quando non ricevono più segnali dalla stanza in cui è la vittima. Altri si fermano leggermente dopo. 26 persone arrivano a somministrare scosse di 450 volt.

PSICOLOGIA

LA TEORIA DI ASCH



Secondo lo studioso Salomon Ash all'interno dei gruppi sociali non tutte le persone avrebbero la medesima probabilità di esercitare influenza: sono le opinioni maggioritarie quelle potenzialmente più influenti. Per dimostrare empiricamente tale idea, Ash ideò un esperimento che, come quello di Sherif, richiedeva un espressione di giudizio percettivo. Ai soggetti veniva mostrata una linea campione che doveva essere messa a confronto con altre 3 di diversa forma, differenziate con delle lettere (ABC). Uno solo di quei soggetti era però un “ingenua” cavia che sceglieva la linea che somigliava di più a quella campione. Gli altri, che erano dei collaboratori, sceglievano apposta una linea palesemente diversa.
Attraverso questo esperimento Ash denotò la tendenza dell’attore “ingenuo” a rivedere la sua risposta, evidenziando delle sviste e degli errori a cui non aveva fatto caso, modificando di fatto il suo giudizio e uniformandolo a quello degli altri. Per Ash, dunque, l’influenza non parrebbe frutto di una suggestione o di processi irrazionali, ma di un ragionamento che nelle situazioni di minoranza ci porta a valutare la posizione della maggioranza come corretta. Si tratta di un processo psicologico definito “influenza informativa” a cui se ne affianca un secondo detto “influenza normativa” che ci spinge a rispondere pubblicamente in modo coerente con le aspettative degli altri membri del gruppo col quale stiamo interagendo.


PSICOLOGIA

L'INFLUENZA SOCIALE 
che cos'è?

Quando si parla di influenza sociale si fa riferimento allo studio delle modalità secondo cui le opinioni e i comportamenti pubblici e privati degli individui sono influenzati da altri soggetti. L’influenza sociale è diventato ben presto un tema molto caldo per gli studiosi che si divisero principalmente in due scuole di pensiero. Il primo, il funzionalismo di matrice nordamericana, secondo cui  la possibilità di influenza è distribuita in maniera diseguale nella società. Essa infatti avverrebbe sempre dall'alto verso il basso, in maniera quasi esclusivamente eterodiretta da parte delle maggioranze. I detentori del potere in pratica possono influenzare gli altri individui proprio per via della coercizione che sono in grado di operare. Seguendo questa logica, dunque, è intuibile come l’idea dell’influenza sia tendenzialmente attribuibile al pensiero conservatore, cioè quell'insieme di idee e programmi che privilegiano mantenere l’ordine sociale e il controllo normativo attraverso processi di conformismo.
Il secondo pensiero, definito genetico, proponeva l’idea che tutti gli individui e i gruppi potessero esercitare influenza, anche le minoranze, ma a certe condizioni. Contrariamente a quanto si pensi, ciò che renderebbe possibile l’influenza non sono tanto la numerosità o il potere posseduto bensì il grado di coerenza ed efficacia del comportamento messo in atto per esercitarla. Lo scopo a cui tenderebbe l’influenza sociale delle minoranze non parrebbe dunque il mantenimento dello status quo ma il perpetuo cambiamento sociale.


PEDAGOGIA

LA DESCRIZIONE DI VICTOR 

Victor non era un bambino nel senso proprio del termine, perché aveva un corpo del tutto adulto e sviluppato, ma l’assenza di una educazione aveva prodotto in lui non solo abitudini e modi da animale, bensì anche sensi e fisiologia molto diversi da quelli umani. Per questi motivi la sua rieducazione iniziò proprio dall'esercizio elementare dei sensi: imparare ad avvertire le differenti qualità sensibili, a riconoscere i rumori, a distinguere le forme e i sapori. Attraverso questo nuovo esercizio delle sue facoltà sensoriali, e mediante l’esposizione a stimoli visivi, motori e comportamentali, Itard si proponeva, in seconda istanza, di riempire di idee e cognizioni la mente di Victor e avviarlo gradualmente all'uso dei segni istituzionali, in modo da far emergere in lui quei tratti dell’uomo civile che lo stato di natura, in cui aveva vissuto fino ad allora, gli aveva impedito di sviluppare.

Nonostante i risultati positivi conseguiti, tuttavia l’esperimento non riuscì come si prevedeva, in quanto Victor non avrebbe mai imparato a parlare e non sarebbe arrivato ad usare in modo libero e a padroneggiare appieno i segni istituzionali della lingua. Victor riuscì a pronunciare un solo suono articolato: la parola latte (lait); tuttavia il bambino ricorreva a tale espressione solo nel momento in cui aveva presente davanti a lui l’alimento, utilizzandola quindi solo come un’esclamazione, un segno naturale, cioè, del suo stato d’animo, e non come il segno che denota quell'oggetto. 


PEDAGOGIA

LA PSICOLOGIA SPECIALE - IL RAGAZZO SELVAGGIO DELL'AVEYRON
Il caso del ragazzo selvaggio dell’Aveyron riguarda un bambino di circa dodici anni ritrovato in Francia nel 1798 nei boschi, dopo essere vissuto molti anni in isolamento, nello stato più selvaggio e per questa ragione del tutto incapace di comunicare e relazionarsi a qualsiasi livello con i suoi simili. Questo ritrovamento suscitò il più vivo interesse tra i soci della Societé des observateurs de l’homme della quale facevano parte filosofi e i naturalisti come Degerando, Sicard, Pinel.  Contemporaneamente si sviluppò un acceso dibattito sulla Décade Philosophique – organo della cultura degli Idéologues – perché il ragazzo selvaggio era ai loro occhi un caso ideale per studiare le basi della natura umana, per stabilire che cosa caratterizza l’uomo e quale ruolo gioca la società nello sviluppo del linguaggio, dell’intelligenza e della morale. L’interesse per il ragazzo selvaggio testimonia anche la tendenza, che si era ormai radicata nella cultura tardoilluminista, a dedicare una particolare attenzione per l’infanzia dell’uomo e per il suo processo di crescita, che veniva opportunamente problematizzato.
Agli osservatori apparve subito evidente che l’ostacolo più grande per il recupero alla vita civile e per l’educazione del giovane era legato alla sua incapacità di comunicare, che, oltretutto, si era pensato in un primo momento fosse dovuta ad un deficit uditivo. Per questa ragione si decise di inserirlo nell’Institut pour les sourds et muets, fondato a Parigi.
Nell’istituto operava anche il giovane medico Jean-Marc-Gaspard Itard (1774-1838), che sarebbe diventato in seguito anche un importante specialista di malattie auricolari; a lui, che aveva dimostrato grande interesse per il suo caso, venne affidata la rieducazione del ragazzo. Itard riteneva che il giovane fosse costituzionalmente sano e che la sua grave forma di mutismo e il ritardo nello sviluppo psichico non fossero il sintomo di una patologia, ma solo il risultato del totale isolamento decisivi dell’apprendimento del linguaggio. Questa condizione faceva sì che il suo recupero potesse essere realizzato. Inoltre egli si rese conto che il bambino non era affatto sordo: se infatti risultava indifferente ai suoni della lingua, dimostrava però attenzione ad altri tipi di suoni, come il rumore prodotto dallo schiacciamento di una noce o dalla caduta di una pigna, suoni che egli riconosceva in quanto parte della sua esperienza. Una volta esposto ai suoni linguistici, il ragazzo iniziò, gradualmente ad essere sensibile anche ad essi e fu proprio grazie alla sua particolare sensibilità verso il suono delle lettere.

SOCIOLOGIA

La socializzazione primaria 

Il primo ambiente sociale che il bambino incontra è quello costituito dai suoi familiari. Genitori, fratelli, nonni e in generale tutti i parenti più prossimi, sono le persone con cui il bambino interagirà sin dai suoi primi giorni di vita. La famiglia è il sistema sociale in cui avviene il processo di socializzazione primaria.Come suggerisce la Teoria dell’apprendimento sociale il bambino apprende il funzionamento degli scambi sociali attraverso l’osservazione del modello proposto dai genitori ed in seguito trasferisce le modalità apprese in contesti diversi, per relazionarsi con gli altri. Gli scambi sociali di cui il bambino fa esperienza all'interno della famiglia, favoriscono la sua comprensione delle diverse tipologie di relazione. Attraverso l’interazione con l’adulto, caratterizzata da un’asimmetria dovuta principalmente dalla dipendenza del bambino verso chi si prende cura di lui, quest’ultimo impara a rapportarsi con l’autorità, apprende competenze comunicative, norme e regole che strutturano lo stare insieme. Inoltre, attraverso i rapporti con i fratelli, il bambino può invece fare esperienza di relazioni più paritarie, dotate di uno spazio più ampio di condivisione e di negoziazione.

La socializzazione secondaria

La socializzazione secondaria è un processo che origina da tutte quelle relazioni di cui il bambino fa esperienza a livello extra-familiare. L’inizio di tale processo è convenzionalmente segnato dall'ingresso nella scuola d’infanzia. Tale transizione comporta un allargamento notevole della rete relazionale in cui è inserito il bambino. Egli incontrerà altri tipi di autorità, rappresentate per esempio da insegnanti ed educatrici, e si inserirà all'interno di un gruppo di pari che gli permetterà di creare nuovi tipi di relazioni orizzontali, tra cui l’amicizia. Il sistema familiare influisce anche in modo più diretto nel processo di socializzazione secondaria del bambino. Per esempio intervenendo sulle scelte amicali che quest’ultimo compie o offrendogli la possibilità di partecipare a spazi sociali piuttosto che altri. A livello psicologico, le modalità relazionali interne al contesto familiare mantengono un’influenza indiretta sulle relazioni sociali dell’individuo per tutto il corso della vita.

PSICOLOGIA

IL COMPORTAMENTO MALVAGIO SECONDO MILIGRAM  Nel 1970 un team di ricercatori diretto dal professor Philip Zimbardo della Stanford Un...